Ogni anno Mark Zuckerberg, il geniale inventore di Facebook e uno degli uomini più potenti (e ricchi) del mondo, si pone un nuovo obiettivo: imparare il mandarino, dotare la propria casa di un’intelligenza artificiale, percorrere 365 miglia di corsa o visitare tutti i 50 (+1) stati degli Usa. Quest’anno, l’ex studente di Harvard ha annunciato che la sua personale sfida sarebbe stata quella di rendere Facebook un mondo migliore. In un post del 4 gennaio, Zuckerberg ha dichiarato che Facebook “ha molto lavoro da fare, che si tratti di proteggere la nostra community da abusi e odio, di difenderci contro le interferenze di altri Stati, o essere sicuri che il tempo speso su Facebook sia davvero ben impiegato”. Per questo, il suo intento per il 2018 è di focalizzarsi per risolvere queste problematiche particolarmente significative.
Otto giorni dopo, ecco l’annuncio: la timeline del social network privilegerà post di amici piuttosto che di pagine relative a prodotti o news. Sul profilo di Zuckerberg compare un post che spiega, tra l’altro, come “le prime quattro parole della mission di Facebook siano sempre state ‘potere alle persone’”. Una trasformazione epocale che apre una serie di interrogativi soprattutto per chi usa Facebook per accrescere il proprio business o chi, come le testate online, impiega il social network per accrescere la propria audience e convertire in click monetizzabili il proprio pubblico.
L’obiettivo principale, quindi, è quello di combattere il cosiddetto “engagement bait”, ovvero il coinvolgimento del pubblico di riferimento per fini commerciali attraverso apposite “esche”. Inoltre, finora l’algoritmo di Facebook ha sempre premiato le pagine con cui si hanno maggiori interazioni, penalizzando invece i profili meno visualizzati da parte degli utenti. Un corto circuito che aveva reso il social network un luogo in cui le aziende potevano cercare di ottenere nuovo business. Ma, ovviamente, questo non può andare bene a Zuckerberg per molti motivi. Il più ovvio dei quali è che se Facebook diventa una sorta di gigantesca vetrina virtuale in cui gli utenti arrivano, intercettano post di loro interesse ed escono, il valore della raccolta pubblicitaria sul social network si ridurrà nonostante un’audience potenziale di quasi 2 miliardi di iscritti.
A questo bisogna aggiungere un tema particolarmente delicato che è quello dell’informazione. Sulla carta, la mossa di Facebook è stata studiata per arginare il proliferare di fake news che, secondo alcuni, stanno diventando un problema sempre più cogente, capace di spostare gli equilibri perfino delle elezioni di stati sovrani (come nel caso degli Usa). In realtà, però, si ridurrà l’esposizione sul social network di tutti i siti d’informazione, da quelli che praticano (l’odiato) clickbait a quelli che invece si sforzano di offrire news di livello. Questa considerazione ha portato alla creazione di due diverse scuole di pensiero: c’è chi dice che la mossa di Zuckerberg salverà il giornalismo online e chi ritiene che renderà tutto molto più lucroso per un solo soggetto: Facebook, appunto.
Partiamo dalla scuola più ottimista: secondo dati del Censis, il 33% degli italiani utilizza esclusivamente il social network di Zuckerberg per informarsi. Questo significa che tipicamente ci si reca su Facebook, si leggono i post delle testate che si seguono e che compaiono nelle prime posizioni della propria timeline e non ci si reca neanche sul loro sito internet, ma si conclude così la propria esperienza di informazione. Limitare la presenza di questi post potrebbe indurre la gente a tornare sui siti di news, garantendo maggiori click e la realizzazione di un circolo virtuoso che dovrebbe ridare vigore ai quotidiani, almeno nella loro versione online. Non solo, per combattere le fake news, Facebook sembra intenzionato a utilizzare una sorta di “bollino di qualità” che certifichi da quale testata proviene la notizia che si sta leggendo.
D’altra parte, i pessimisti sostengono che questa rivoluzione voluta da Zuckerberg non influirà minimamente sul futuro dei giornali, ma, invece, costringerà le aziende a pagare ancora di più in visibilità. Attualmente Facebook e Google si spartiscono circa il 50% del mercato mondiale della pubblicità online. Google, già da tempo, utilizza un sistema che consente alle aziende che pagano di più di occupare le prime posizioni nei risultati di ricerca. Se anche Facebook dovesse adottare una strategia simile significherebbe che le pagine aziendali, per emergere in mezzo a tutti i post e sopravanzare gli amici “in carne e ossa”, dovrebbe per forza pagare di più. Ancora: aumentare le interazioni con gli utenti, riducendo la visibilità delle pagine e “bollando” le notizie con il marchio delle testate che le hanno prodotte, non è necessariamente sinonimo di addio alle fake news. Anzi, per assurdo si potrebbe creare una situazione in cui una notizia falsa, proprio perché non vi sono le pagine a smentirla, proliferi in modo molto più rapido e veloce, grazie al fatto di continuare a vedere solo i profili di familiari e amici. Senza dimenticare, infine, che un social network che riporta le persone al centro della bacheca determina che le informazioni personali saranno ancora più presenti, e quindi gli utenti potranno essere ancora più profilati rispetto a quanto avviene ora.
Ovviamente si tratta di scenari che si dipaneranno nei prossimi mesi di questo 2018 appena iniziato. Possiamo però delineare alcune buone pratiche che alla luce di questi cambiamenti diventeranno sempre più determinanti. La salienza rimarrà un tema dominante nell’immediato futuro: i contenuti interessanti sono quelli che continueranno ad emergere anche dopo le “restrizioni” imposte da Facebook. E sempre più, per arginare l’impatto delle modifiche all’algoritmo di Facebook, alle aziende e alle organizzazioni non profit servirà andare oltre il social network di Zuckerberg. Oggi una social media strategy efficace è anche diffusa su più social media: non ci si può permettere di essere presente in forze soltanto su un canale, e deve necessariamente essere concepita in questo modo dall’inizio, per sfruttare al meglio i codici e le potenzialità degli altri social. Che, nello specifico, si chiamano Instagram, ma anche, Twitter, LinkedIn, Snapchat. Anche perché il content marketing, dal canto suo, è una materia magmatica in continua evoluzione: vive di sperimentazione e di tentativi. Non è una scienza esatta, ma piuttosto un modellamento continuo e progressivo della strategia più efficace per raggiungere il pubblico.