
Aggiornare le regole sul diritto d’autore per gli stati membri dell’Unione Europea. Con questo scopo, lo scorso 12 settembre il Parlamento europeo – presieduto dall’italiano Antonio Tajani – ha realizzato una serie di nuove norme che riguardano principalmente l’accesso ai contenuti informativi sui siti web. La legge vede come primo firmatario il parlamentare tedesco del PPE Axel Voss. Un riordino reso necessario dal fatto che le norme comunitarie in materia di copyright erano ferme al 2001, quando di fatto internet non era ancora così pervasivo anche per quanto riguarda i contenuti informativi. In questo modo, non senza accese polemiche da parte di alcuni partiti del continente che paventavano una stretta sulla libertà di diffusione delle informazioni in rete, si è tentato di armonizzare le leggi sul diritto d’autore nei paesi membri dell’Unione Europea. Il via libera è arrivato con 438 voti a favore, 226 contrari e 39 astenuti. La normativa, in particolare, ha avuto un acceso dibattito intorno agli articoli 11 e 13. Vediamo in dettaglio tutte le novità.
Articolo 11
Attualmente in Italia, Google e Facebook da sole concentrano nelle loro mani il 77% del totale degli introiti pubblicitari. Per cercare di ovviare a questa disparità, e per garantire una migliore ripartizione delle risorse, l’articolo 11 si è concentrato proprio su questo tema. Un argomento particolarmente difficile da dirimere perché pone di fronte due diverse esigenze: da una parte, gli editori, che sostengono di non ricevere entrate congrue rispetto ai contenuti caricati online. Le anteprime che Google News, Facebook e altre piattaforme mostrano agli utenti, infatti, non vengono conteggiate nel computo delle impression degli editori, ma solo di quelle dei grandi player di cui sopra. Dall’altra parte, però, proprio i motori di ricerca e i social network sostengono che la maggior parte dei clic sui contenuti protetti realizzati dagli editori arrivi proprio tramite le loro piattaforme. La direttiva sembra schierarsi a maggiore vantaggio degli editori, sostenendo che gli stati membri devono garantire loro il ricevimento di compensi “consoni ed equi” (come viene scritto nell’articolo 11) per l’utilizzo dei loro contenuti da parte dei “fornitori di servizi nella società dell’informazione”, cioè le grandi piattaforme come Google e Facebook. Questo articolo, dunque, viene comunemente riassunto come “link tax”, perché qualunque player di internet che pubblichi un hyperlink con descrizione del contenuto o uno snippet (un’anteprima dei contenuti della pagina) dovrà corrispondere agli editori una quota per il copyright. Inoltre, nelle disposizioni introdotte si prevede che la semplice condivisione di collegamenti ipertestuali (hyperlink) agli articoli, insieme a “parole individuali” come descrizione (ovvero singoli lemmi che spieghino in maniera estremamente sommaria che cosa si troverà all’interno dell’articolo o del contenuto linkato), sarà libera dai vincoli del copyright. Invece se i link saranno accompagnati da descrizioni che soddisfano la lettura degli utenti, si ricadrà nella casistica degli snippet, che saranno coperti da copyright e quindi le piattaforme dovranno pagare i diritti agli editori per il loro uso. Diverso il discorso per le enciclopedie online (Wikipedia su tutti) che possono continuare a utilizzare i contenuti informativi prodotti dagli editori senza dover corrispondere loro quanto richiesto ai grandi player di internet.
Articolo 13
L’altro articolo che ha particolarmente acceso la discussione sia in seno al Parlamento europeo, sia sugli organi di informazione è il numero 13. In questo caso, il timore è che si limiti la libera circolazione dei contenuti a seguito della riforma della direttiva sul copyright. In questo caso, le nuove regole approvate impongono che le grandi piattaforme vigilino affinché gli utenti non pubblichino sulle loro pagine dei contenuti protetti. Le voci contrarie a questa norma affermano che il rischio è che si venga a creare una sorta di controllo preventivo sui contenuti con censure immotivate, come già oggi avviene su Facebook per quanto riguarda le immagini considerate scabrose e su YouTube per quanto concerne i filmati e i brani musicali.
Che cosa cambia per le grandi piattaforme
Prima di analizzare in dettaglio i cambiamenti che potrebbero verificarsi per le grandi piattaforme e anche per le aziende, è bene sottolineare come l’approvazione di questa riforma del copyright può ancora essere fermata se qualche stato membro decidesse di “mettersi di traverso”. Per completare il passaggio dall’Europa ai singoli paesi, comunque, servirà circa un anno. Ciò detto, ipotizzando che tutto rimanga invariato, le grandi piattaforme si vedranno costrette a modificare profondamente il proprio comportamento. In primo luogo, impedendo la pubblicazione di anteprime dei contenuti degli editori se non attraverso la corresponsione di maggiori risorse per ogni impression. In questo modo, però, si rischia che a essere maggiormente penalizzati siano i piccoli editori. Il motivo è presto detto: se attualmente i grandi gruppi editoriali ricevevano da Google e Facebook solo una parte ridotta dei loro introiti complessivi, i più piccoli ottenevano dai colossi della rete una parte sostanziale delle loro revenues. E questo meccanismo potrebbe incepparsi. Inoltre, il controllo preventivo sui contenuti potrebbe tradursi in qualche autogol come già successo in passato. L’ultimo caso eclatante, ad esempio, ha riguardato Facebook, che ha censurato – considerandolo un contenuto che violava i parametri del social network di Zuckerberg – l’immagine de “L’origine del mondo” di Gustave Courbet, il celeberrimo dipinto, custodito al Museo d’Orsay a Parigi, che mostra la nudità femminile. Può essere però anche un grande incentivo per i principali player del web ad aumentare i controlli, impedendo che i social network diventino un “non luogo” in cui chiunque può pubblicare qualsiasi tipo di contenuto.
Che cosa cambia per le aziende
Le aziende potrebbero dover modificare alcune loro strategie di comunicazione e di rapporto con gli utenti. Ad esempio, ad oggi è considerato piuttosto comune l’utilizzo di contenuti informativi per instaurare un dialogo con i propri follower sui social network: se la normativa sul diritto d’autore dovesse venire confermata così com’è, si toglierebbe alle aziende la possibilità di impiegare questa modalità. E ancora: il nuovo diritto d’autore costringerà le aziende a modificare anche le loro strategie di marketing promozionale, per evitare di incorrere in qualche possibile sanzione? La verità è che la necessità di una revisione dell’intero sistema del diritto d’autore era necessaria, ma al momento permangono ancora troppe perplessità. Serve pazienza e, soprattutto, servirà capire quali scelte faranno i singoli stati nell’adeguarsi alla nuova normativa europea. Per il momento, il giudizio è sospeso. In attesa di una maggiore chiarezza.