
“Non mi sorprende che la vostra ricerca, Italiani 2016, dimostri che l’emotività governa il grosso delle scelte di consumo degli italiani, non mi sorprende per niente”: Paolo Crepet, psichiatra, sociologo e scrittore, volto celebre dei talk-show televisivi, lavora spesso per le più varie imprese del largo consumo nelle sue vesti di conoscitore profondo dei meccanismi individuali e sociali e può ben commentare i riscontri portati dall’indagine annuale di Inthera sul comportamento, i gusti e il modo di pensare dei consumatori italiani.
Dunque, professor Crepet: non la sorprende, questo primato delle emozioni. Il 75% delle scelte di consumo sono fatte in base alle emozioni, e non alle analisi. Perché le sembra così naturale?
“Per due ragioni consecutive, la prima è che la razionalità funziona meglio e di più quando i tempi sono positivi, non quando il clima generale è negativo com’è stato e come ancora è. La seconda, conseguente, è che in queste condizioni di strisciante sfiducia e pessimismo, sei portato inconsciamente a evitare di ragionare, nel senso che percepisci il rischio che i ragionamenti ti portino ulteriore negatività e quindi li eviti”.
E segui i desideri, le emozioni?
“Certo, segui i sogni, che infatti vanno forte in questo periodo, io ho una rubrica giornalistica sui sogni e non è mai stata così seguita. I sogni non ci dettano obblighi, e non impongono alcun rapporto vincolante con la quotidianità”.
Un po’ puerile, però: non trova?
“Be’, indubbiamente vedo, in questa fase storica, una sorta di regressione all’adolescenza per tanti di noi, lo si riscontra in molte cose, negli atteggiamenti evergreen di uomini e donne, nelle fogge, nei modi… c’è una tendenziale indisponibilità a crescere e a credere nella maturità come valore!”.
L’indagine di Inthera rileva anche una certa prudenza nel rapporto con Internet. Gli italiani, in particolare per le loro scelte di consumo, utilizzano intensamente il web per informarsi ma poi, soprattutto in alcuni settori, “stringono” sulle loro scelte confrontandosi personalmente con qualcuno, spesso i venditori. Come mai?
“Io credo che l’Italia – e i dati lo dimostrano – abbia ancora bisogno di fiducia nel prossimo, proprio perché i tempi sono quelli che sono e ci portano a diffidare del prossimo. A maggior ragione in un’epoca del genere ci si fida un po’ di più di chi si conosce di persona, questo è uno dei motivi per cui la grande distribuzione, laddove non ti promette più o comunque non sempre consente grandi risparmi, ha conosciuto una frenata alla sua crescita: perché nel nostro costume, il valore del rapporto identitario è rimasto forte. In qualche modo, il negoziante di prossimità – quello sotto casa, che conosci da sempre – ti offre un rapporto personalizzato, cosa che evidentemente la grande distribuzione non può dare. Ecco perché Internet, che è grande distribuzione all’ennesima potenza, è ancora di più senza volto. E non basta…”.
Cos’altro?
“Io credo ci sia anche una forte differenza tra Nord e Sud da questo punto di vista, soprattutto quando si parla di piccoli e medi centri: lì è evidente che il rapporto umano è importante e disponibile. Mentre anche al Sud, nelle grandi città come Napoli, Palermo e Bari, i rapporti umani diretti si sono abbastanza diluiti nel clima metropolitano, nei piccoli centri non è così”.
Per concludere, lei come percepisce l’evoluzione del clima complessivo, dell’umore degli italiani sul futuro? Più o meno pessimismo?
“Mi sembra che la situazione sia stazionaria sul negativo. Ci eravamo abituati ad avere cambiamenti, ma oggi tardano, è come se il Paese fosse in attesa di qualcosa che non c’è. Abbiamo la sensazione che altrove le cose vadano con un ritmo diverso, più serrato. Ci sentiamo le ultime ruote del carro europeo, riconosciamo intorno a noi un contesto più lento del resto del mondo, eravamo invece piuttosto abituati ad avere aziende che trainavano l’economia e ci ritroviamo a dover essere contenti di un +0,1% di Pil… Questa cosa ti crea pessimismo e attendismo…”.